Stress: le responsabilità in caso di omessa o carente valutazione
In questi ultimi anni, anche a causa del riferimento esplicito alla valutazione dello stress nell’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008, il tema dello stress lavoro-
Per approfondire in particolare le novità normative e giurisprudenziali relative alle responsabilità datoriali nella prevenzione dello stress nei luoghi di lavoro, ci soffermiamo sugli atti di un intervento che si è tenuto durante il convegno “La prevenzione dei rischi da stress lavoro-
In “Prevenzione dello stress lavoro-
Riguardo alla responsabilità del datore di lavoro in ordine alla mancata prevenzione, l’intervento ricorda che “i profili di responsabilità individuabili in capo al datore di lavoro a fronte della violazione delle regole in tema di valutazione e prevenzione dei fenomeno dello stress lavoro-
Riguardo al piano penale, muovendo dall’ipotesi di omessa o carente effettuazione della stessa valutazione del rischio stress lavoro-
A questo proposito “se l’omessa valutazione dei rischi (o la mancata predisposizione del relativo documento) realizza un illecito penale di tipo contravvenzionale da parte del datore di lavoro, laddove l’omissione, nei termini di cui sopra, abbia riguardato unicamente la valutazione dello stress lavoro-
Se fossimo invece di fronte ad una “redazione incompleta del documento di valutazione dei rischi, che presenti una carenza riferibile alle specifiche misure di prevenzione e protezione attuate, o al programma di misure da adottare per il miglioramento o, infine, alle procedure per l’attuazione di queste ultime (con espressa individuazione dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere)”, per il datore di lavoro l’art. 55, comma 3, del Testo Unico prevede “la sanzione di un’ammenda, contemplata anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia adottato un documento di valutazione dei rischi che non contenga la relazione con i criteri di valutazione adottati o l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongano i lavoratori a rischi specifici che richiedano una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento”.
Ed è evidente – continua l’intervento – che “laddove all’omissione degli obblighi in tema di prevenzione dello stress lavoro correlato siano poi riconducibili le fattispecie ben più gravi di lesioni o di omicidio colposo la responsabilità penale del datore di lavoro diverrà ancora più pesante”.
La relatrice porta l’esempio di una pronuncia della Cassazione dell’8 marzo 2013, n. 11062. La sentenza “a fronte delle lesioni riportate per una caduta da una scala da un lavoratore impegnato in un lavoro ripetitivo, ha ritenuto la penale responsabilità del datore in relazione all’assenza della valutazione dei rischi derivanti da posture incongrue, stress da lavoro ripetitivo e possibili cadute dall’alto”: si è ritenuto che le “specifiche modalità di lavoro, non adeguatamente analizzate in funzione dei correlati rischi, abbiamo determinato una situazione di stress e stanchezza per il lavoratore, poi infortunatosi”.
La relazione si sofferma anche sulla responsabilità del datore sul piano civilistico, per danni che “siano cagionati al singolo lavoratore dall’esposizione a (o dalla mancata prevenzione di) rischi riferibili al fenomeno dello stress lavoro-
La questione si fa particolarmente delicata, in quanto il datore, nell’esercizio del proprio potere organizzativo, “è già dall’ art. 2087 del nostro codice civile obbligato ad adottare nell’impresa tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica risultino necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”. Disposizione che, “seppure non potendo essere dilatata fino a far sorgere in capo al datore di lavoro una responsabilità oggettiva, avendo detta responsabilità natura contrattuale, è da molto tempo interpretata dalla giurisprudenza in senso estremamente rigoroso”. E in capo al datore di lavoro è individuato “un obbligo di continuo adattamento ed aggiornamento degli standard di prevenzione”.
In quest’ottica, “la codificazione ‘espressa’ di un obbligo di prevenzione dei fenomeni di stress lavoro-
La relatrice richiama una decisione della Sezione lavoro della Cassazione (Cass., sez. lav., 19 marzo 2012, n. 4324) che ha confermato una sentenza del 2010 della Corte d’appello di Bari che “aveva escluso che un datore di lavoro (pubblico) avesse posto in essere una condotta idonea a ledere l’integrità psico-
In questa materia assume assoluta centralità il tema dell’onere probatorio: “sia la prova che deve fornire il lavoratore per ottenere il risarcimento, che quella richiesta al datore di lavoro, per essere esentato dalla responsabilità, possono rivelarsi tutt’altro che agevoli”.
A questo proposito “una dottrina ha proposto di valorizzare il richiamo operato dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008 al ‘gruppo’ di lavoratori (che costituisce anche il parametro di riferimento per la valutazione preliminare dello stress lavoro-
Riguardo all’onere e ai contenuti della prova, il Tribunale di Roma (Trib. Roma n. 9496/2007), ha emesso una sentenza in relazione “al caso di una lavoratrice che si era creata delle forti aspettative quanto ad una possibile promozione – peraltro non suffragate in alcun modo da impegni formali da parte del datore di lavoro – ed avendo visto tali speranze frustrate era entrata in uno stato di profondissima crisi, che l’aveva condotta fino ad un esaurimento nervoso”. Il giudicante, “dopo una valutazione complessiva della condotta del datore di lavoro, era pervenuto ad escludere la responsabilità di questi, sottolineando come i problemi della lavoratrice in questione, pur essendo sicuramente riconducibili ad una situazione di stress lavoro-
Se poi si opera una veloce verifica nei “repertori della giurisprudenza, anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 81/2008, alla ricerca di vicende nelle quali si sia accertata la ricorrenza di fenomeni di stress lavoro-
Anche per il datore di lavoro l’onere della prova non è agevole: “per andare esente da responsabilità, dovrà provare non solo di aver provveduto a valutare il rischio specifico da stress lavoro-
E un ulteriore profilo problematico è “quello riferibile alla presenza di possibili concause di stress, riconducibili a situazioni del tutto private del dipendente (come potrebbero essere – a titolo meramente esemplificativo – una grave malattia del coniuge o di un figlio, l’esistenza di un procedimento di separazione o di divorzio particolarmente litigioso, un grave lutto patito, ecc.). Potrebbe infatti essere assai arduo, in ipotesi siffatte, determinare con un accettabile grado di certezza quali cause nel caso specifico abbiano determinato lo stress lamentato dal soggetto (la situazione personale o le condizioni di lavoro?)”.
Infine l’intervento che vi invitiamo a visionare integralmente, si sofferma anche sulla “concreta determinazione del danno risarcibile al lavoratore che lamenti una situazione di stress lavoro-
È evidente la “difficoltà di distinguere tra la ricorrenza di una vera e propria patologia e la presenza di ‘sintomi’ (quali – ad esempio – tachicardia, ansia ecc.) che, magari non traducendosi in vere e proprie malattie, possono però indubbiamente creare, considerati nel loro complesso, quantomeno una situazione di disagio per il soggetto che ne è affetto, situazione che meriterebbe, almeno nei casi più gravi, una qualche forma di ristoro ”.
E diventa dunque sempre più delicato ed importante in questi casi “il ruolo della consulenza tecnica psicologica, quale supporto all’attività di accertamento del giudice del lavoro”.